Corte di Cassazione Sezione Lavoro
Sentenza 2 febbraio 2007, n. 2270

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele – Presidente
Dott. MONACI Stefano – Consigliere
Dott. DI NUBILA Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. STILE Paolo – Consigliere
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
P.C. in atti generalizzato, quale tutore della figlia P.M., rappresentato e difeso dagli avv. … omissis … per delega in calce al ricorso, elett. dom in Roma presso il secondo, viale di Villa Pamphili 59;
– ricorrente –

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contro

INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per procura speciale in calce al ricorso avversario notificato dagli avv.ti Riccio Alessandro, Nicola Valente e Biondi Giovanna, elett. dom. in Roma via della Frezza 17 presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto;
– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 159.04 in data 20.1.2004, depositata l’1.4.2004;
udita la relazione della causa fatta dal Dott. Vincenzo Di Nubila all’udienza del 20.12.2006;
udito per il ricorrente l’avv. Sacerdoti per delega;
udito il Procuratore Generale in persona del sostituto Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. P.M., nata il (… OMISSIS…), versa dal 1986 in stato di coma profondo da decerebrazione ed è stata continuativamente e gratuitamente ricoverata in ospedale. Il padre e tutore ha chiesto l’indennità di accompagnamento, che è stata riconosciuta in via amministrativa con decorrenza 1.4.1989. Successivamente, essendo emerso che la P. era ricoverata in permanenza presso il Policlinico, il Prefetto revocava la concessione dell’indennità in parola con provvedimento in data 12.6.2000 ed invitava il P. a restituire quanto riscosso a far tempo dal 1.2.1995. Con ricorso depositato in data 6.11.2000, P.C. chiedeva che venisse riconosciuto il diritto alla prestazione “de qua”.

2. Previa costituzione ed opposizione dell’INPS, il Tribunale di Verona accoglieva la domanda attrice, ritenendo che nella specie il ricovero in un ospedale non escludeva la necessità di ulteriore assistenza, specie di tipo affettivo e psicologico. Proponeva appello l’INPS e la Corte di Appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dall’attore P. e lo condannava alla restituzione dei ratei indebitamente percepiti. La Corte di Appello così motivava: la L. n. 18 del 1980, art. 1, prevede la corresponsione dell’indennità di accompagnamento in favore degli invalidi civili che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, necessitano di assistenza continua;
tale ipotesi ricorre indubbiamente nella fattispecie;
il comma 3 della norma citata prevede peraltro l’esclusione dell’erogazione nel caso di invalidi civili gravi, ricoverati gratuitamente in istituto;
l’appellata si trova da oltre un quindicennio continuativamente e gratuitamente ricoverata presso un reparto ospedaliero;
è pertanto fondato l’appello dell’INPS, dato che la norma non lascia adito a dubbi circa la non-erogabilità della prestazione in ipotesi di lungo-degenze in strutture pubbliche ospedaliere;
non rileva la volontà o la necessità dei familiari di essere vicini alla figlia, per sopperire ad eventuali carenze del personale o per cercare di stimolare emotivamente la paziente;
la previsione dell’indennità di accompagnamento risponde ad esigenze diverse da quelle ritenute dal giudice, per le quali soccorrono altri istituti (pensione di inabilità); deve porsi in diritto la questione se il ricovero gratuito in struttura pubblica costituisca requisito essenziale del diritto all’indennità, ovvero elemento esterno che impedisce l’erogazione della stessa per il tempo in cui l’inabile sia ricoverato a carico dell’erario;
nella fattispecie detta questione è irrilevante, posto che non è possibile formulare sicura prognosi circa l’uscita dallo stato di coma.

3. Ha proposto ricorso per Cassazione P.C., nella spiegata qualità, deducendo un motivo. L’INPS si è costituito con procura e non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con l’unico motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 della L. n. 18 del 1980, art. 1, comma 3 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5: la Corte di Appello ha fondato la propria decisione su di una interpretazione meramente letterale della norma, la quale intende invece incoraggiare i familiari all’assistenza, ma non osta al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento quando l’invalido, pur ricoverato in ospedale e curato, non è totalmente assistito dalla struttura e quindi necessita della continua assistenza anche dei familiari per sopravvivere. Detti familiari, in ospedale come a domicilio, dovranno pur sempre pagare infermieri ed assistenti, abbandonare il lavoro, effettuare un sostegno economico aggiuntivo.

5. Il ricorso è fondato nei sensi di cui “infra”. La L. n. 18 del 1980, art. 1, comma 3, sopra citata dispone che sono esclusi dall’indennità di accompagnamento gli “invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto”. Il problema che si pone nella presente fattispecie è se un ricovero presso un ospedale pubblico possa costituire l’equivalente del ricovero gratuito in istituto, essendo lecito il dubbio se il legislatore, nel sancire la ricordata esclusione dall’indennità, abbia inteso significare che l’indennità di accompagnamento non è erogata in caso di “ricovero presso qualsiasi struttura” di cura ovvero se la citata erogazione venga meno solo in caso di ricovero presso un “istituto”, vale a dire una struttura in cui, oltre alle cure mediche, venga garantita al paziente totalmente invalido e non autosufficiente (come nella specie è pacifico) una assistenza completa, anche di carattere personale, continuativa ed efficiente in ordine a tutti gli “atti quotidiani della vita” cui l’indennità in parola è destinata a fare fronte, tale da rendere superflua la presenza dei familiari o di terze persone.

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6. L’esame della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione induce a ritenere preferibile questa seconda tesi. “Il ricovero di un inabile totale, sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, in una struttura pubblica non in grado di prestargli tutte le cure necessarie per un’adeguata assistenza infermieristica può giustificare, in via eccezionale rispetto a quanto testualmente dispone la L. n. 18 del 1980, art. 1, il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento anche per il periodo di ricovero soltanto nell’ipotesi in cui, proprio a causa di tale necessaria integrazione, l’assistito abbia subito un danno ingiusto perchè costretto a retribuire il cosiddetto “infermiere privato”: Cass. 2.11.1998 n. 10946. Il principio è ripreso da Cass. 8.4.2002 n. 5017, la quale ha riconosciuto l’indennità di accompagnamento in favore di un invalido psichico, necessitante di continuo controllo anche con eventuale ricovero presso appositi istituti. Più in generale, Cass. 20.7.1995 n. 7917 prevede che la condizione del non- ricovero in istituto si pone come elemento esterno alla fattispecie e non osta al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento per il tempo in cui il disabile sia ricoverato in istituto e non abbisogni dell’accompagnatore.

7. Sulla scorta di tali principi, va dunque affermato che il ricovero presso un ospedale pubblico non costituisce “sic et simpliciter” l’equivalente del “ricovero in istituto” ai sensi della L. n. 18 del 1980, art. 1, comma 3 e che pertanto l’indennità di accompagnamento può spettare all’invalido civile grave anche durante il ricovero in ospedale, ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana.

8. Tale indagine è mancata nel processo di appello. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata ed il processo va rinviato alla Corte di Appello di Bologna, la quale dovrà uniformarsi al principio di cui al paragrafo che precede e provvederà altresì alle statuizioni circa le spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Bologna.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2007
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